Giulia, una vita che esalta la speranza: dopo il buio arriva la luce
Giulia panizza, moglie di Alessandro e madre felice del piccolo Riccardo, racconta la sua storia di “lungo sopravvivente”
«Nella mia vita non esiste un “prima” e un “dopo” il Neuroblastoma: la malattia è insorta così presto che non è possibile per me e i miei genitori pensare alla mia esistenza senza il Neuroblastoma».
Così Giulia inizia il suo emozionante racconto: «Nata il 28 febbraio del 1981, il 5 agosto ho subito il primo intervento. Nel corso delle settimane precedenti avevo smesso di crescere, poi di muovere le gambe: piangevo in continuazione. I miei genitori non sapevano più che cosa fare».
Nella tragedia due fatti positivi: «La mia prima grande fortuna è stata di nascere a Genova e di poter subito ricorrere alle cure dell’Istituto Giannina Gaslini, la cui unità di oncologia pediatrica era all’epoca diretta dalla Professoressa Luisa Massimo. La diagnosi fu immediata e terribile. La mia seconda fortuna: ero molto piccola e sotto l’anno iniziavano a esserci le prime speranze di sopravvivenza».
Inizia così per Giulia un percorso di interventi, cicli di chemioterapia, fisioterapia e poi di ripetuti controlli che durano per i primi 6 anni della sua vita. oggi giulia è una donna realizzata. «Ho compiuto 39 anni e, a oggi, non ho avuto recidive o alcun tipo di altra neoplasia. Ho potuto frequentare regolarmente la scuola. Dopo la laurea ho iniziato a lavorare come tutor universitario e ricercatore presso il Laboratorio di Archeologia Industriale dell’Università di Genova e da dieci anni lavoro in un’azienda informatica».
È arrivato anche l’amore: «Cinque anni fa mi sono sposata con Alessandro, maresciallo dell’Arma dei Carabinieri. Quando ci siamo conosciuti, raccontandogli tutta la mia vita, gli ho chiesto di compiere una scelta molto coraggiosa. Negli anni si sono presentate varie altre problematiche, alcune delle quali valutate in stretta correlazione con gli interventi e le terapie subite. Durante un controllo nella fase sperimentale del Survivor Passport, alcuni mesi prima di sposarmi, nel 2015, venne fuori, per la prima volta, che forse non avrei potuto avere figli. Non avevo mai considerato questa eventualità. Io e Alessandro decidemmo di credere nel nostro amore, scommettendo nella forza della vita e ci sposammo senza che a quella domanda fosse data una risposta».
Poi è avvenuto un altro piccolo, grande, miracolo: «9 mesi dopo il nostro matrimonio scoprii di essere in dolce attesa di Riccardo. Se da sempre un senso di “miracolo” aveva accompagnato la mia esistenza, l’idea di essere portatrice di un dono così immenso ancora adesso va ben oltre la mia capacità di comprendere, ha a che fare con l’infinito».
Una gioia sconfinata, resa ancora più grande da un percorso complicato: «Riccardo è nato con un parto cesareo programmato, effettuato in anestesia totale. La ripresa è stata lunga e dolorosa. Gli ultimi mesi di gravidanza avevo dovuto trascorrerli a letto. Il mio corpo era un po’ “stressato”: una STC (sindrome del tunnel carpale) bilaterale di livello gravissimo mi ha portato a perdere l’uso delle braccia per alcuni mesi. Un passo alla volta abbiamo affrontato anche questo. Con un gruppo di amiche, esperte in ambito sanitario, ho sviluppato un progetto a favore della maternità e dell’infanzia che, partendo dal mio caso, possa essere utile per qualsiasi donna.».
Dopo la maternità, Giulia ha ripreso a lavorare, «accettando nuove sfide professionali e crescendo il mio Riccardo, che ha compiuto 3 anni a fine gennaio ed è un vero terremoto!»
Giulia è la testimonianza vivente che la lotta al Neuroblastoma può essere vinta: «Il Registro italiano Neuroblastoma è stato istituito nel 1979 e penso di essere una delle persone più vecchie ancora in vita: la mia non può non essere che la voce della speranza! Dal Neuroblastoma si può guarire e si può aspirare ad avere dalla vita le stesse possibilità, le stesse conquiste di qualsiasi altra persona.
La mia esperienza mi ha insegnato a non arrendermi mai e a lottare per ciò in cui credo e che amo. Noi restiamo dei guerrieri, dei “lungo sopravviventi”, come ci chiama la scienza. In questa definizione, apparentemente tanto cruda, c’è anche l’oggettività della nostra forza.
Abbiamo compreso che la vita è un dono a tempo. E sapendo quanto quel tempo sia prezioso noi sappiamo usarlo molto bene: questa è la nostra incredibile resilienza».